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Chi trova il proprio centro trova un tesoro.
Riconoscere il proprio valore per essere più felici.
Riconoscere il proprio valore significa trovare il proprio centro. Liberare la percezione di noi stessi dallo sguardo altrui. Essere consapevoli e solidi di fronte agli eventi della vita. E più felici.
Cosa ci è stato insegnato?
Noi tutti ci muoviamo spinti da bisogni. Purtroppo non tutti sanno di cosa hanno bisogno. Il sistema in cui cresciamo tendenzialmente non aiuta a fare chiarezza in tal senso. Anzi, spesso complica le cose, confonde le priorità, crea falsi bisogni.
Ad esempio, il sistema scolastico insegna la competizione. Insegna ad aderire a modelli di “giusto” e “sbagliato” stabiliti a monte, uguali per tutti. Insegna a compiacere un soggetto giudicante esterno. L’esatto contrario di ciò che in realtà servirebbe trasmettere, ovvero la capacità di saper ascoltare le proprie specifiche necessità, gioire dell’unicità dei propri talenti e accettare serenamente i propri limiti in quanto caratteristiche, non difetti.
Cosa significa riconoscere il proprio valore?
In sintesi, riconoscere il proprio valore significa:
- Essere sé stessi così come si è;
- Conoscere i propri limiti;
- Conoscere i propri punti di forza;
- Nutrire i propri punti di forza;
- Avere cura dei propri limiti;
- Accettare sé stessi nel profondo.
Il mancato riconoscimento del valore.
La maggior parte delle persone che sperimentano nella propria vita difficoltà e sofferenze (piccole o grandi) non hanno compiuto questo riconoscimento di valore. Spesso, nella valutazione di sé stessi, esse si focalizzano sugli aspetti negativi, su ciò che ai loro occhi è assente o carente, ignorando tutta una serie di dati positivi che in realtà esistono. In questo modo lasciano inutilizzate risorse preziose che semplicemente non sanno di possedere.
Questo difetto di “Focus” è riconducibile nella maggior parte dei casi all’essere sconnessi dalle proprie emozioni, lontani dal sentire profondo. Questo rende difficile, se non impossibile, mettere a fuoco cosa c’è di più prezioso nel nostro animo. Cosa veramente si desidera, cosa è autentico, cosa è vero. Perché questi elementi di norma sfuggono alla coscienza, soprattutto se essa è addestrata a ignorarli. Per riconoscere il proprio valore è necessario, quindi, essere presenti a ciò che ci accade nel profondo, sviluppando e “allenando” la consapevolezza.
Alcune domande veramente importanti da porsi.
- Che idea che ho di me stesso?
- Cosa penso veramente di me?
- Che valutazione mi do?
Molte persone sovrappongono l’immagine di come vorrebbero essere all’immagine di come si percepiscono nel presente o alla luce del passato. Maggiore è la differenza tra come si vedono rispetto a come invece vorrebbero essere, maggiore è la sofferenza e il disagio, soprattutto quando la percezione di sé è negativa, perdente, mentre quella “ideale” sembra irraggiungibile.
L’esito infelice di questa sovrapposizione, di questo confronto, si ripercuote in tantissimi aspetti della vita. Infatti, chi ha di sé un’idea negativa e su di essa si concentra, fatica a trovare risorse e, solitamente, non è in grado di auto-motivarsi, avvitandosi in una spirale di malessere e insoddisfazione.
Quali sono i segnali del mancato riconoscimento del proprio valore?
- La costante paura di sbagliare, di non farcela;
- Una sensazione di inadeguatezza permanente;
- L’attaccamento a convinzioni su di sé e gli altri con le quali ci si identifica;
- La tendenza a giudicarsi, a giudicare, a fare paragoni e confronti con gli altri;
- La tendenza a compiacere gli altri per sentirsi accettato;
Strategie di fuga
La persona lontana dalla consapevolezza del proprio valore non vive un’esistenza serena e autentica.
Avverte la disarmonia, l’insoddisfazione, l’inquietudine e tenta di coprirle, allontanarle, disinnescarle adottando alcune precise strategie di fuga, efficaci solo in apparenza.
Ecco le più comuni:
- Fare! Fare! Fare! (riempire in modo esagerato la propria giornata di impegni e attività)
- Sprofondare nell’apatia;
- Arrabbiarsi per non sentire (quel dolore che vorrebbe non ci fosse);
Utilizzando queste strategie non si ottiene altro che coprire il proprio lago interiore di infelicità con uno strato di ghiaccio, estremamente sottile e fragile. Oppure si alimentano rumori di fondo sempre più forti illudendosi di zittire la voce della propria sofferenza.
Vivere “fuori posto”.
La distorta o assente consapevolezza del proprio valore spesso trae origine dall’ambiente familiare a causa di “fuori posto” che cambiano etichetta, per così dire, al proprio ruolo “naturale” nel contesto del sistema.
La cattiva notizia è che, solitamente, l’interessato non sa di essere stato o di essere in quel momento ancora vittima di un “fuori posto”: questa inconsapevolezza impedisce di individuare l’origine della propria sofferenza.
Un caso emblematico è quello del figlio che si trova a fare da genitore al proprio padre: un “fuori posto” in cui si invertono i ruoli tra chi è “grande” e chi è “piccolo”, tra chi da e chi riceve. Situazioni come questa possono innescare disordini in tutti gli ambiti della vita. Quel figlio potrebbe avere in primis difficoltà a riconoscere l’autorità del genitore (avendo interpretato lui stesso la figura genitoriale rispetto al padre che ne esce quindi “svalutato”), trovandosi poi a riproporre questo schema disfunzionale, ad esempio, nell’ambiente di lavoro, criticando le decisioni dei superiori per partito preso, scivolando nel classico ruolo del paladino delle cause perse, sempre in prima linea di fronte a situazioni che di fatto non può risolvere.
Potrebbe addirittura assumere i romantici panni del leader, del trascinatore anti-sistema, ma interpreterebbe il copione con arroganza e presunzione. La sua esistenza si farebbe in ogni caso faticosa, come se si trovasse a nuotare ogni giorno controcorrente. Immerso nella sensazione di non essere o fare mai abbastanza, quel figlio “fuori posto” diverrebbe giudice inflessibile degli altri e di se stesso, sordo alle richieste di aiuto del suo essere profondo.
La buona notizia è che “tornare al proprio posto” è possibile grazie alle Costellazioni Familiari, strumento che consente di “vedere” con chiarezza posizionamenti e dinamiche all’interno di sistemi familiari o relazionali in genere. Una volta acquisita consapevolezza del “fuori posto” e integrato la cognizione del proprio naturale posizionamento, la persona sperimenta un rilassamento interiore che riverbera anche all’esterno nel fisico, e nella quotidianità. Dopo aver vissuto controcorrente, sperimentando l’immane fatica di essere ciò che non si è, scompare l’inquietudine e l’agitazione, arriva la serenità, la pace dell’essere al posto giusto.
Riconoscere ciò che è vero, ed espanderlo.
Ciò che innesca il riconoscimento del proprio valore e la sua espansione è il dare spazio a ciò che è vero per ciascuno di noi, essere presenti e fedeli a ciò che accade nel profondo, prendendone atto. Comprendere come funzioniamo e come agiamo nella vita. Imparare da noi stessi. Riconoscere quali sono le aspettative che auto-coltiviamo e le proiezioni che abbiamo sugli altri. Dare voce a ciò che rimane inespresso dietro al senso di inadeguatezza, come la paura di sbagliare e l’abitudine a compiacere gli altri. Da un certo punto di vista è come arrendersi, arrendersi a ciò che si è. Tuttavia non si tratta di rassegnazione o fatalismo. È semplicemente l’assunzione di responsabilità verso se stessi che deriva dall’essere consapevoli dei propri limiti ma anche, e soprattutto, delle proprie preziose risorse. Uno sguardo sulla realtà interiore da cui partire per espandere il valore che c’è, nonostante i dubbi e le incognite che inevitabilmente accompagnano il cammino.
Più si è in sintonia con il profondo, più si è a contatto con ciò che ci sta a cuore.
È fondamentale imparare ad ascoltare il nostro corpo attraverso tecniche di respiro, di rilassamento e di meditazione. I segnali di benessere o malessere che riceviamo quando impariamo a recepirli, diventano riferimenti insostituibili per trovare il proprio centro, il luogo che custodisce la nostra autenticità.
“Se guardi dentro il tuo essere e natura e non trovi nessuna bella notizia allora non hai guardato a lungo o abbastanza in profondità.”
Matthew Anderson
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